Viaggio di networking del Life Drylands in Brandeburgo

È praticamente impossibile fare un riassunto al tempo stesso esaustivo ed efficace dei tre giorni frenetici e ricchissimi che abbiamo appena vissuto in Brandeburgo, durante il viaggio di networking del nostro LIFE Drylands verso l’incontro con i protagonisti di due altri progetti LIFE con sentimenti e finalità analoghe: il Sandrasen e il Trockenrasen.
Il LIFE Sandrasen, sotto la gestione di Holger Rößling, si è concluso nel 2019, mentre il LIFE Trockenrasen, guidato da Janine Ruffer, è ancora in corso. Entrambi hanno come scopo il ripristino e la conservazione delle praterie aride, habitat (come vi ho già raccontato innumerevoli volte) importantissimi per la biodiversità, che sono fortemente minacciati anche in Europa centrale, nonostante vi siano ben più diffusi che in Italia.
Per noi è stata un’occasione unica di confrontarci con il team che ha dovuto affrontare le stesse problematiche incontrate dal nostro LIFE Drylands, di scambiare opinioni ed esperienze, e – particolarmente prezioso per me e per Silvia Assini, che lavoriamo ormai da più di un decennio su questi habitat – di vedere finalmente la versione mitteleuropea delle praterie, dune sabbiose e brughiere che studiamo, molto più in grande scala rispetto a quei frammenti preziosi ma ormai microscopici rimasti nella Pianura Padana occidentale, che cerchiamo di difendere e proteggere per mezzo del nostro lavoro.

La delegazione italiana del LIFE Drylands, con Silvia Assini per l’Università di Pavia, Valentina Parco e Silvia Nicola per il Parco Lombardo della Valle del Ticino, Paola Trovò ed Erica Zuffi per il Parco della Valle del Ticino Piemontese, e il sottoscritto per l’Università di Bologna, insieme al team che ci ha guidati in questi tre giorni brandeburghesi, tra cui: Holger Rößling, Janine Ruffer, Anna Hachmöller, Daniel Lauterbach, Matthias Sudau, Sarah Bude, Ulrich Schröder.


Giorno 1

Dopo un volo che mi sono goduto fino all’ultimo secondo (non prendevo un aereo da secoli, e attraversare le Alpi in volo merita sempre, soprattutto se si ha il sedile accanto al finestrino) e le infinite pratiche per il noleggio dell’auto all’aeroporto di Berlino, incontriamo i nostri ospiti e guide nella regione dei laghi intorno a Potsdam, in un pittoresco alberghetto sul lago. Il programma è denso, perciò dopo un rapido check-in montiamo subito in auto alla volta del primo sito da ispezionare.
Attraversando scorci di Brandeburgo degni delle più bucoliche raffigurazioni della Mitteleuropa (infiniti boschi – spesso non naturali – di pino silvestre, sconfinati prati da sfalcio con tanto di caprioli sgambettanti e gru e cicogne al pascolo, e ogni tanto qualche piccolo villaggio con le tipiche casette da cartolina dell’Europa germanofona), gioie lichenologiche incluse (ma-vi-rendete-conto-che-qui-hanno-i-mazzi-di-Cladine-lungo-le-strade-carrozzabili), a ritmo serrato veniamo guidati nelle prime due tappe di questo intensissimo viaggio. Si tratta fondamentalmente di due siti in cui gli interventi per il restauro delle dune sabbiose e delle loro praterie tipiche sono partiti da zero, eliminando piantagioni di pino silvestre (fin troppo diffuso nella regione), raschiando via la superficie del suolo troppo ricca di nutrienti e riportando a giorno suolo minerale sabbioso poi rimodellato in dune…presto colonizzate da rare specie di prateria arida – primo tra tutti Corynephorus canescens, la specie tipica ed edificatrice dell’Habitat 2330, che da noi è sull’orlo dell’estinzione, mentre qui…quasi un’erbaccia! “Tu apri, porti in superficie la sabbia, e lui arriva”. Pazzesco.
I colleghi tedeschi hanno fatto veramente miracoli: ci mostrano, in una successione di crescente meraviglia (nostra), aree trattate con gradi di difficoltà e di riuscita crescenti.

Il primo sito, Miethsluch, si presenta come un’ampia radura in cui i differenti colori della prateria rivelano con un’occhiata l’entità dei nutrienti presenti nel suolo sottostante. Accanto alla prateria è stata riqualificata anche una zona umida, da cui provengono, veloci come frecce, grosse libellule che mi distraggono momentaneamente dall’osservazione dei licheni, che a loro volta mi avevano distratto dalle precise spiegazioni di Holger e Janine sulla storia del sito e degli interventi che lo hanno interessato. Fortunatamente occhi e orecchie funzionano indipendentemente, cosicché riesco a godermi tutto quanto insieme.

Il secondo sito, Bugker Sahara, è ben più spettacolare, nonché quello che più di tutti desideravo visitare, fin da quando, durante il primo evento di networking (svoltosi online a causa dell’emergenza COVID), Janine ci aveva illustrato l’intervento: nell’area prescelta la piantagione di pini è stata completamente eradicata, la sabbia riportata a giorno e modellata in basse dune, e infine le piante tipiche reintrodotte. Operazioni non facili anche perché quest’area, non molto distante dal confine con la Polonia, fu teatro di scontri tra l’esercito tedesco e quello russo verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, e il rischio di incappare in munizioni inesplose semisepolte nello strato superficiale del suolo è ancora piuttosto alto! Prima di ogni altra cosa, quindi, quelle vanno trovate e rimosse.
Scopro con sorpresa che nessuno del team tedesco conosce approfonditamente i licheni! I loro progetti hanno mirato al ripristino degli habitat considerando talvolta la reintroduzione di determinate specie di piante vascolari tipiche, ma i licheni non sono mai stati oggetto di monitoraggio né di particolare preoccupazione – probabilmente perché, come constatabile anche da un semplice occhiata lungo i margini della provinciale, qui i licheni terricoli sono tutt’altro che una vista inconsueta: tappeti e cuscinetti di Cladine sono ovunque, e frugandoci in mezzo si scoprono anche tante altre specie meno evidenti ma ugualmente presenti. Holger però qualcosa ne sa, poiché ha cura di segnalarmi i punti più lichenologicamente interessanti e mi spiega anche che in questo sito è presente Cetraria islandica, rarissima nella regione, della quale infatti vediamo qualche tallo particolarmente ‘abbronzato’.
Soprattutto qui al Bugker Sahara si conferma un adagio già ben collaudato: anche in Germania, il lichenologo è quello che rallenta la marcia del gruppo…! Curiosando tra un ciuffo di Cladina e l’altro, rimango infatti un po’ indietro, guadagnandomi occhiatacce sospettose e qualche latrato dai colossali pastori maremmani che custodiscono il gregge accampato nel bel mezzo di questo ‘deserto’ – il pascolo ovino viene impiegato come regolare ed efficace metodo di gestione di questi habitat aperti; i maremmani servono a difendere il gregge dai lupi, ben diffusi nella regione.

Pausa per la cena – questi prussiani cenano prestissimo! – in un eccellente ristorantino tipico specializzato in pesce d’acqua dolce, e poi, sotto gli ultimi chiarori, si riparte per una passeggiata digestiva nel terzo ed ultimo sito di questa interminabile prima giornata: la Binnendüne Waltersberge/Storkow, un’imponente duna tappezzata di Corynephorus e licheni e punteggiata da vetusti pini contorti che sono stati risparmiati dal taglio in quanto particolarmente vecchi. Situazione simile alle precedenti, anche se con un rilievo maggiore, che peraltro ci permette anche di ammirare il tramonto da una prospettiva insolita.
Gli ospiti ci raccontano che, come parte della sensibilizzazione della popolazione locale all’importanza di questo singolare tipo di habitat, le scuole portano i bambini a giocare nella sabbia sul lato più pioniero della duna. Con un lago non molto distante, idealmente è quasi una spiaggia – e in effetti l’ingresso alla Binnendüne, allestito con dei bei pali colorati, sembra un po’ quello di una località balneare!

Silvia ed io siamo in brodo di giuggiole, ed è solo il primo giorno…


Giorno 2

Il secondo giorno inizia con un graditissimo fuoriprogramma: visto l’entusiasmo di Silvia e mio per le brughiere, e la leggera delusione al constatare che il programma previsto non ne includeva, i nostri ospiti aggiungono a sorpresa, come prima tappa della giornata, proprio una brughiera…e che brughiera!
Dopo diversi chilometri su una sterrata immersa in un bellissimo bosco di pino silvestre – che per una volta, come rivelano la struttura della vegetazione e la presenza di un fitto e diversificato sottobosco, è un vero bosco e non una piantagione di pini, e già questo è degno di nota – all’improvviso ecco aprirsi la Massower Heide, in cui, perfettamente intersecati tra loro in un magnifico mosaico, possiamo osservare tutti gli stadi della successione, dalla nuda sabbia punteggiata da ciuffetti dell’ormai onnipresente Corynephorus canescens fino ai popolamenti maturi di Calluna vulgaris e ai singoli alberi di pino silvestre vetusti e ritorti che, sparsi qua e là, accolgono un sottobosco più maturo sotto le loro chiome cadenti. Il tutto ovviamente tappezzato da una moquette multicolore e scrocchiante di licheni che scoppiano di salute e che mi consentono finalmente di ammirare le autentiche comunità licheniche delle brughiere mitteleuropee, entità quasi mitologiche per me fin dai tempi della tesi magistrale. Di nuovo il lichenologo del gruppo riesce a sviare il discorso da ruspe, granate inesplose e pascolo ovino, e a far strabiliare almeno una parte del gruppo alla vista delle capocchiette rosse che guarniscono le distese di piccoli podezi di Cladonia floerkeana e Cladonia diversa. Le Cladonie riescono sempre a incuriosire!
Lasciata la brughiera, indulgiamo in una breve sosta nel bosco, per ammirare alcuni pini particolarmente vecchi, prima di proseguire e rimetterci disciplinatamente sui binari del programma.

La seconda tappa è la Glindower Alpen, un rialzo di origine morenica – come tutti quelli che vedremo oggi, dall’origine differente rispetto alle dune visitate ieri, ma che condividono la medesima vegetazione – su cui sono state ripristinate praterie aperte. Appare qui in tutta la sua paradossale evidenza il vizio che i brandeburghesi hanno – e che si riproporrà nelle tappe successive – di battezzare ‘monte’ ogni collinetta che si eleva per più di 2-3 metri dal piattume della loro pianura; ecco quindi che un montarozzo di sabbia diventa il Monte delle Quaglie (Wachtelberg), una collinetta il Monte del Mulino (Mühlenberg), e questa duna addirittura l’Alpe di Glindow (Glindower Alpen). Anna mi fa notare che anche l’appellativo di ‘Sahara’ dato a uno dei siti visitati il giorno prima sembra seguire la falsariga del ‘marketing’ per la promozione del territorio, anche se in realtà il toponimo risale a tempi più antichi, quando lì le sabbie erano ancora originali e non ripristinate; ma il nome continua a fare la sua buona figura a maggior ragione ora che la morfologia dunale è stata restaurata. Una cosa va detta: questi brandeburghesi sanno vendersi bene!
Sulla ‘vetta’ della Glindower Alpen, da cui si scorge un ennesimo lago dall’aspetto rilassante, consumiamo il nostro pranzo al sacco, per poi ripartire alla volta…di una gelateria, che un dolcetto ce lo meritiamo.

La terza tappa è il Götzel Wachtelberg, ancora una collinett…pardon, un monte, ma stavolta immersa in un paesaggio bucolico in cui oltre ai boschetti e ai prati da sfalcio compaiono anche sconfinati campi di frumento in cui c’è spazio anche per quelle infestanti ormai divenute rarissime da noi, come i bellissimi fiordalisi. Sul Wachtelberg, prateria e scampoli di brughiera si mescolano, e ci sono meno licheni che nei siti visitati in precedenza, ma molte piante interessanti, tra cui Stipa e Filago minima (qui abbastanza rara…ma anche da noi, a ben pensarci). Il bosco confinante è dominato da annose querce – siamo ormai fuori dalla regione delle pinete.

Concludiamo la parte di campo della giornata con il Siegbundberg, dove gli interventi hanno ripristinato praterie a diversi gradi di pionierismo/maturità, che esploriamo mentre le capre – mantenute qui per la stessa funzione delle pecore al Bugker Sahara – ci osservano curiose dal recinto elettrificato e una coppia di magnifici nibbi reali volteggia sopra le nostre teste.

Il venticello che increspa il lago e ci porta incontro dei nuvoloni dall’aspetto minaccioso ci suggerisce di avviarci verso la cena: attraversato sul traghetto uno stretto braccio di lago, ceniamo nuovamente a base di pesce in un altro pittoresco ristorantino, mentre la pioggia che ci ha risparmiati per tutta la giornata si scarica finalmente con uno scroscio violento che rende ancora più piacevole la torta al rabarbaro gustata al coperto.
Sbattuti come tappeti, ma finalmente rifocillati, raggiungiamo Potsdam per un pernottamento in albergo agognato e meritato.


Giorno 3

A me sembra di essere qua da settimane”, dice qualcuno durante l’abbondante colazione, ma è solamente il terzo giorno, e purtroppo anche l’ultimo.
Niente scarrozzamenti in giro per il Brandeburgo oggi, ma una tranquilla visita all’Orto Botanico di Potsdam per osservare anzitutto la coltivazione ex-situ delle specie tipiche di prateria che servono per ripopolare i siti in cui sono stati effettuati gli interventi. Molte specie sono le stesse che abbiamo anche nei siti del Drylands, mentre alcune più orientali ci mancano – al contempo, ai brandeburghesi mancano diverse specie a distribuzione più mediterranea che sono proprio quelle che rendono i ‘nostri’ habitat aridi padani così peculiari rispetto a quelli centroeuropei.
Dopo pranzo salutiamo i nostri ospiti e veniamo lasciati liberi per qualche ora in cui visitiamo dapprima lo sconfinato parco che raccorda l’Orto Botanico con le regge di re Federico e poi il centro di Potsdam, per raggiungere infine l’aeroporto e fare ritorno in Italia.
Niente licheni oggi (le querce secolari del parco erano incrostate di Leprarie, ma ero troppo concentrato su tutto il resto per curiosare anche su quelle), ma nondimeno una giornata ricchissima di esperienze e stimoli interessanti.


Devo ancora far sedimentare e rielaborare tutte le informazioni, le sensazioni e gli spunti che questa visita ha stipato nel mio cervello di lichenologo/vegetazionista, ma una cosa è certa: sperimentare una realtà così diversa dalla nostra è stato un arricchimento inestimabile che ci ha permesso di comprendere meglio anche la nostra realtà, e di individuare punti comuni e spunti gestionali che possono rivelarsi efficaci anche nella situazione italiana.
Certo, la situazione è molto diversa: da noi, gli scampoli superstiti di habitat aridi sono assediati da specie invasive ed immersi in una matrice pesantemente antropizzata, mentre nel Brandeburgo c’è molta più naturalità, meno impatto antropico, e anche le invasive, seppure presenti, sono più controllabili. Ma per noi è comunque una sfida che non diamo certo per persa!

Ich danke herzlich unseren deutschen Freunden, die diesen Besuch sorgfältig geplant haben, für die wir alle dankbar sind.
Ihre Begeisterung und Liebe für Naturschutz, die wir italienischen Besucher teilten, gaben uns das Gefühl, zu Hause zu sein.
Lang lebe die Sandrasen, lang lebe die Trockenrasen!

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