Il Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino: un hotspot di biodiversità lichenica e di ricerca lichenologica

Il Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino, istituito nel 1967, si estende per 19.726 ettari nel settore nordorientale del Trentino, tra la Val di Fiemme, la Val di Fassa e il Primiero. Esso tutela una biodiversità eccezionale, racchiudendo al suo interno una serie di gradienti – altitudinali, climatici, geologici, vegetazionali – che sono gli indispensabili ed efficaci promotori della sua diversità biologica, anche su una superficie tutto sommato non estesissima.
Questo territorio è ben noto, per i motivi più disparati, letteralmente da secoli: basti pensare, ad esempio, che la foresta di Paneveggio era quella in cui Stradivari in persona sceglieva gli abeti da cui ricavare il legno per i suoi leggendari violini. L’area è molto frequentato dai turisti specialmente per i paesaggi da cartolina, le bellezze naturali, i molti sentieri percorribili in estate e gli impianti sciistici attivi in inverno.

I Laghetti di Colbricon, una delle mete più note ed amate nel cuore del Parco, presso cui si svolse anche un’escursione della Società Lichenologica Italiana nel 2001.
Per gentile concessione di Juri Nascimbene/Maurizio Salvadori.

Juri Nascimbene studia ormai costantemente da oltre un quarto di secolo i licheni del Parco di Paneveggio, sotto diversi aspetti, dalla floristica all’ecologia. L’attività pluridecennale di Juri si inserisce nel solco di diversi illustri predecessori, a partire dal lichenologo bavarese Ferdinand Arnold (1828-1901), che esplorò l’area nella seconda metà dell’Ottocento, e passando per Maria Cengia Sambo (1888-1939) e i lichenologi grazesi capitanati da Josef Poelt (1924-1995), protagonisti delle poche e localizzate erborizzazioni lichenologiche del Novecento tra Passo Rolle e il Castellazzo.
Lungo questo periodo, che ormai supera i 150 anni, si sono accumulate moltissime informazioni sui licheni di Paneveggio, senza che però ne venisse mai distillata una panoramica completa, utile a fare il punto sulle conoscenze complessive acquisite. I tempi sembravano quindi ormai maturi per condensare tutti questi dati in una sintesi…che è appena stata pubblicata sulla rivista MycoKeys (Nascimbene et al. 2022).

Ferdinand Arnold e il frontespizio dell’articolo in cui sono riportati i risultati delle sue esplorazioni lichenologiche nell’area di Predazzo e Paneveggio.

L’elenco delle fonti bibliografiche consultate e dalle quali sono stati tratti questi dati comprende non meno di 72 citazioni (tutte elencate nei materiali supplementari dell’articolo, per chi volesse spulciarsele). Ad esse si aggiunge un altrettanto considerevole numero di campioni d’erbario e osservazioni di campo raccolte da Juri nell’ambito delle sue esplorazioni sul territorio. Sommato, tutto questo materiale raggiunge il ragguardevole numero di 7351 segnalazioni attribuibili a ben 916 taxa tra specie, sottospecie e varietà – e solamente di funghi lichenizzati, ossia veri licheni; non abbiamo tenuto conto dei funghi lichenicoli e dei funghi non lichenizzati abitualmente trattati dai lichenologi, in quel caso probabilmente la lista avrebbe superato il migliaio. Anche così, si tratta comunque di un numero enorme, che a nostra conoscenza non ha eguali a livello mondiale per aree di dimensioni comparabili a quella qui presa in esame.

Le Pale di San Martino e il Castellazzo, iconiche cime nel cuore del Parco.

Ci sono due aspetti che concorrono entrambi a questo straordinario risultato: l’elevatissima eterogeneità ambientale dell’area di studio e il fatto che proprio quest’area sia stata oggetto di ricerche lichenologiche con una lunghissima continuità temporale.
Per parlare del primo aspetto, c’è l’imbarazzo della scelta su dove cominciare. C’è una componente geologica: siamo nel cuore delle Dolomiti e oltre a dolomie, calcari e marne, affiorano estensivamente anche rocce silicee, acide o basiche, sia magmatiche che metamorfiche. C’è una componente climatica: la catena del Lagorai e le Pale di San Martino rappresentano una barriera orografica che blocca i flussi d’aria umida che risalgono dall’Adriatico, facendo così da confine tra l’area a nord, a clima più francamente continentale, e quella a sud, più oceanica poiché riceve tutte le precipitazioni che non riescono ad oltrepassare i monti. C’è infine una componente altitudinale: il territorio del Parco va dalla fascia montana fino alle vette più alte dei monti ricompresi in esso, alcuni dei quali superano i 3000 metri. Una tale eterogeneità si ripercuote sulla vegetazione, che a sua volta influenza la diversità lichenica, sempre in sinergia con gli aspetti prima ricordati, originando una miriade di microhabitat ben differenziati – anche su scale molto piccole – che consentono così l’espressione di una straordinaria diversità lichenica.
Sul secondo aspetto, già si è ricordato come la zona tra Predazzo e Paneveggio sia stata una delle tante setacciate dal grande Ferdinand Arnold nella seconda metà dell’Ottocento. Arnold, in alcune occasioni coadiuvato dal collega ungherese Hugo Lojka (1845-1887), oltre a pubblicare i risultati delle sue esplorazioni, distribuì anche diverse serie di exsiccata all’interno delle quali figurano numerosi esemplari provenienti proprio da Paneveggio. Da queste località descrisse anche una specie nuova per la Scienza, Thelidium paneveggiensis, attualmente noto solo dalla località-tipo e che sarebbe meritevole di ulteriori studi. La messe di dati prodotti e pubblicati da questi lichenologi è confluita nel poderoso volume “Die Flechten (Lichenes) von Tirol, Vorarlberg und Liechtenstein”, una sorta di “checklist ante litteram” assemblata da Karl Wilhelm Dalla Torre e Ludwig Sarnthein come quarto volume della loro collana sulla flora del Tirolo. Nel secolo successivo le esplorazioni furono di meno, ma dalla fine degli anni Novanta l’area di Paneveggio è tornata alla ribalta (per lo meno tra i lichenologi) come conseguenza dell’intensa attività scientifica svoltavi da Juri Nascimbene, come ricordavo in apertura.
La conseguenza di queste due premesse è pirotecnica: in un’area che corrisponde a meno dell’1% dell’estensione della catena alpina sono state trovate il 31% delle specie licheniche segnalate per le Alpi (cf. Nimis et al. 2018), un numero veramente impressionante. E, sebbene il Trentino Alto Adige sia attualmente la regione con più specie licheniche note in Italia, in questo lavoro ne vengono segnalate ben 23 nuove per la regione, tra le quali 4 nuove per l’intera e Italia e addirittura una nuova per la Scienza! (che sta ancora aspettando che le venga attribuito un nome).

L’occhio clinico del Nascimbene esamina una parete “lichenosa”…e arrampicabile.
Per gentile concessione di Juri Nascimbene/Maurizio Salvadori.

Un’altra valutazione interessante riguarda il fatto che molte specie sono state ritrovate solamente in uno dei tre periodi storici di esplorazione dell’area di studio, e anche in questo caso non sono numeri piccoli: 284 taxa sono stati segnalati solo nel 19° secolo, per lo più da Arnold, mentre 24 solo nel 20° e 281 solamente nel 21°, per lo più dal Nascimbene. In totale, invece, si contano 601 taxa nel 19°, 116 nel 20° e 585 nel 21° secolo. Solamente 57 taxa – un numero sorprendentemente basso – sono stati segnalati in tutti e tre i secoli.

Mappa della distribuzione delle segnalazioni contenute nel database (n.b. i punti sono molti meno di 7351 perché in molti casi punti riferiti a specie diverse sono sovrapposti).
Punti gialli: segnalazioni del 19° secolo; rossi: 20° secolo; blu: 21° secolo.
Da Nascimbene et al. 2022.

Il lavoro dietro le quinte di questa pubblicazione è stato lungo e complesso. Assemblare una checklist critica basata su fonti sparse lungo 150 anni di storia della lichenologia non è certo cosa semplice, specialmente quando la fonte storica principale è scritta nel tedesco austriaco di fine Ottocento.
Si aggiungano le difficoltà relative alla georeferenziazione [1]: le segnalazioni moderne sono in genere corredate dalle coordinate geografiche, ma per georeferenziare quelle storiche è necessario un lavoro certosino che tenga conto di toponimi, habitat ed ecologia delle specie…e anche così, rimane sempre qualche centinaio di metri di incertezza.
Per non parlare della nomenclatura lichenologica, irritantemente dinamica, che ci ha costretti a ricontrollare tutti i nomi più volte, aggiornandone ogni volta diverse manciate (ci saranno stati non meno di un centinaio di cambiamenti nomenclaturali tra quando abbiamo iniziato ad assemblare il database e quando il lavoro è stato ultimato e spedito alla rivista, tra i quali ricordo con rammarico personale l’epocale riassegnazione al genere Cetraria di Vulpicida pinastri e la soppressione dell’elegantissimo Flavocetraria con il passaggio delle sue specie allo sputacchiante Nephromopsis).
La supervisione del prof. Nimis e l’aiuto dei lichenologi di Graz sono stati indispensabili a dare completezza al lavoro: campioni provenienti da Passo Rolle e Paneveggio sono sparsi tra gli scaffali di GZU fin dall’epoca di Josef Poelt, a cui peraltro va il merito di aver raccolto la stragrande maggioranza delle segnalazioni riferite al 20° secolo.

Per catturare più biodiversità possibile, può essere utile uscire dall’ordinario: solamente le velleità alpinistiche del Nascimbene hanno permesso di acciuffare l’elusiva Variospora paulii, nuova per l’Italia.
Per gentile concessione di Juri Nascimbene/Maurizio Salvadori.

Ma ora cosa ce ne facciamo di questo malloppo di informazioni parte nuove e parte obsolete?
Tante cose.
Questa sintesi non è e non deve essere intesa come una ‘fotografia’ della biodiversità lichenica del Parco; al contrario, anzi, forse ancora più che tante altre checklist assemblate ‘in una botta sola’, questa fa risaltare ancora di più come le conoscenze sulla biodiversità siano dinamiche ed imprescindibili dal contesto storico ed ambientale nel quale sono state accumulate, seguendone le peripezie e i cambiamenti. Ci suggerisce, una volta ancora, che anche le aree meglio studiate non vanno accantonate con la presunzione di avere scoperto tutto quello che c’era da scoprire, ma, al contrario, vanno costantemente studiate per monitorarne i cambiamenti.
Pertanto, il primo impiego di questa opera mastodontica sarà sicuramente quello di fornire una base per la ricerca delle specie non più ritrovate dopo il 19° secolo, nell’ottica di indagare se l’assenza di ritrovamenti recenti sia imputabile ad una loro effettiva scomparsa (e in alcuni casi, purtroppo, è probabile che sia proprio così) oppure ad altre ragioni (es. specie di difficile individuazione per piccole dimensioni o particolari esigenze di microhabitat). Viceversa, potrebbe anche essere utile per capire se alcune specie ritrovate solo di recente fossero effettivamente assenti 150 anni fa e ipotizzare cosa potrebbe averne favorito la comparsa – ma è più che probabile che molte specie siano semplicemente passate inosservate dai lichenologi ottocenteschi, piuttosto che abbiano colonizzato l’area di studio solo in tempi recenti.
Una panoramica così completa è poi utilissima dal punto di vista della conservazione: un elenco esaustivo dei licheni del Parco, corredati da tutte le informazioni sulle località e gli habitat di presenza, è di fondamentale importanza per stabilire quali specie e quali località siano prioritarie per una conservazione efficace del patrimonio lichenologico di Paneveggio. Perché, non finirò mai di ripeterlo, la conservazione è efficace solamente se costruita sulle fondamenta di una solida conoscenza di base sulla distribuzione e l’ecologia delle specie; e proprio lavori come questo contribuiscono a rendere più solide queste fondamenta.


Riferimenti bibliografici

Nascimbene J.*, Gheza G.*, Bilovitz P.O., Francesconi L., Hafellner J., Mayrhofer H., Salvadori M., Vallese C., Nimis P.L. 2022. A hotspot of lichen diversity and lichenological research in the Alps: the Paneveggio-Pale di San Martino Natural Park (Italy). MycoKeys 94: 37-50.


Note

[1] La georeferenziazione è l’attribuzione delle coordinate geografiche ad una segnalazione. Si tratta di un’operazione usata per riferire una segnalazione ad un contesto geografico preciso, che può essere molto utile in caso di analisi successive, ma che, nel caso delle segnalazioni storiche, presenta sempre delle incertezze abbastanza ampie.


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