Squamule!

Un po’ per gioco, un po’ per provocazione, qualche tempo fa ho postato su Facebook una foto in cui avevo mescolato diversi talli di Cladonia polycarpoides, Cladonia pulvinata e Cladonia strepsilis.

Come si nota chiaramente, alcuni esemplari sono abbastanza ‘tipici’ e ‘facili’ (se si ha almeno un minimo di esperienza a riguardo) da attribuire alla specie giusta; ma altri sono decisamente più complicati, e confermano ancora una volta la necessità di analisi chimiche.

Se per disgrazia si ribaltassero contemporaneamente sul pavimento tutte le scatole in cui tengo i campioni di queste specie, mi sarebbe impossibile riuscire a ricollocarli tutti sotto le etichette giuste senza analizzarne i metaboliti: è pur vero che, appunto, alcuni campioni più ‘tipici’ sarebbero semplici da determinare per un occhio allenato, anche senza analisi chimiche, ma molti altri, con caratteristiche meno marcate e più intermedie, sarebbero delle brutte Cladonie da pelare.
Quel che è ‘drammatico’, è che effettivamente in natura queste specie si possono trovare a stretto contatto nelle stesse comunità licheniche: succede in alcuni dei miei siti di studio, specialmente nelle brughiere del Ticino (ma l’ho visto per esempio anche sulle colline biellesi), in cui la loro compresenza a volte rende veramente problematico il lavoro di campo.

A complicare le cose in alcuni casi ci si mette anche l’umidità.
Innanzitutto, l’umidità fa sì che le squamule si distendano, modificandone quindi l’apparenza. Per le specie con squamule incospicue non cambia poi molto, ma per specie ‘ingombranti’ come Cladonia foliacea l’aspetto generale può trasformarsi anche molto: nella foto si vedono un tallo asciutto con le classiche squamule incurvate verso l’alto (sinistra) e un tallo fradicio con le squamule ben distese (destra).

Ma l’umidità, rendendo traslucido il cortex e di conseguenza più evidente lo strato algale sottostante, ha come effetto ancora più fuorviante quello di tingere tutto di verde brillante, e così anche quelle flebili differenze cromatiche che un occhio di falco può riuscire ad individuare sui talli asciutti, se ne vanno a farsi benedire.
Nella foto seguente si vedono le tre specie sopra citate insieme a Cladonia foliacea, raccolte in una giornata di pioggia: salta subito all’occhio che la foliacea è ben distinguibile, mentre le altre tre si somigliano parecchio (o si potrebbe pensare che, come ha commentato Paolo Giordani con una delle sue spassose frecciatine, “sono chiaramente la stessa cosa che hai spezzato per farci un test”).

Una volta asciugate, si nota chiaramente che invece sono diverse: la pulvinata ha squamule più rade, più grosse, erette e con margine meno inciso; la polycarpoides ha squamule di dimensioni abbastanza simili ma più frastagliate, più ricurve e con la parte inferiore di una sfumatura grigio-brunastra che la foto purtroppo ha bruciato; e la strepsilis ha squamule più piccole, più fini, di colore più bronzato e che formano un cuscinetto più compatto.
In caso fosse ancora necessario spiegare perché i licheni vanno identificati da asciutti, voilà.

Per comprendere appieno queste differenze spesso flebili, le foto non saranno mai sufficienti: andrebbero maneggiati direttamente dei buoni campioni (di nuovo, qualcosa che non finirò mai di sottolineare: l’importanza degli erbari!). Solo su un campione visto dal vero si possono apprezzare tutti i dettagli necessari per inquadrare ogni specie come si deve.
Purtroppo le foto, in casi come questi, hanno anche un altro difetto estremamente limitante: modificano i colori, anche a seconda dell’illuminazione, appiattendo terribilmente una diversità di sfumature che è già poco marcata dal vivo, ma che comunque diventa così ancora più difficile da cogliere.
In questo esempio sono messi a confronto tre talli di altrettante specie di Cladonia prevalentemente squamulose e raramente fertili.

Le differenze cromatiche sulla pagina inferiore sono piuttosto flebili, nonostante la foto sia stata scattata con un’illuminazione che dal vivo le faceva risaltare; ma in questo caso, sovrassaturando un po’ con un programma di fotoritocco, le si riesce ad evidenziare un po’ meglio.

Risultano così più agevoli da individuare il rossiccio di Cladonia polycarpoides (sinistra), il giallognolo di Cladonia foliacea (centro) e il bianco brillante di Cladonia symphycarpa (destra). Sono differenze importanti quando si lavora in campo: la foliacea è molto spesso associata a queste altre due specie (alla prima su suoli silicei, all’altra su suoli calcarei) e non sempre le squamule sono sviluppate tanto da rendere facile la distinzione su base dimensionale; a quel punto, il colore della faccia inferiore può diventare veramente discriminante.

Quando Cladonia foliacea è ben sviluppata è però inconfondibile.
Le differenze cromatiche la differenziano molto bene sia da Cladonia polycarpoides

…sia da Cladonia symphycarpa.

Un terzo trio di squamule che spesso si trovano intersperse vede di nuovo la presenza di C. polycarpoides, apparentemente ubiquitaria, ma stavolta insieme a Cladonia cariosa e Cladonia peziziformis.
Si tratta di una comunità decisamente rara, ma che può occupare superfici estese – per dei licheni – nei pochi siti in cui trova le condizioni ottimali per svilupparsi.

Squamule minuscole, tondeggianti, prostrate e verdognole, spesso non fittamente addensate ma lasse, oppure a volte al contrario addirittura imbricate, ma comunque mai erette, appartengono a Cladonia peziziformis.

Squamule sempre minuscole, ma frastagliate, ben erette e glaucescenti (da umide) o grigie (da asciutte) svelano invece la presenza di Cladonia cariosa.

Un confronto diretto evidenzia abbastanza nettamente le differenze tra le due specie.

Una volta inquadrate quelle, Cladonia polycarpoides è ancora più semplice da distinguere, avendo squamule molto più grandi di entrambe e colori assai diversi, anche da umida.

Si potrebbe pensare che il portamento della ‘colonia’ di squamule sia d’aiuto, ma in realtà anche quello può essere ingannevole.
Per esempio, Cladonia pulvinata gioca sporco fin da subito: il nome lascerebbe pensare che si presenti con dei cuscinetti ben definiti, ma in realtà a volte la si trova tappezzante sul substrato. Lo stesso vale per Cladonia polycarpoides, che ha un nome un po’ più onesto ma lo stesso comportamento irritante e fuorviante.

Concludo con un’osservazione sulla grandissima tenacia delle Cladonie, o, se vogliamo usare un termine che abbiamo sentito fino alla nausea nell’ultimo anno, sulla loro resilienza.
In una delle praterie in cui ho raccolto parte del materiale fotografico che correda questo post, mi sono imbattuto in diversi punti in tappeti di Cladonia polycarpoides come quello della foto precedente, che in alcuni casi erano visibilmente spaccati a causa di un qualche tipo di calpestio, e alcune parti di questi cuscinetti erano state completamente capovolte. Si trattava probabilmente di un disturbo anche un po’ vecchio.
Sulla maggior parte dei pezzi che erano stati capovolti, si notava chiaramente che le squamule sulla vecchia parte sommitale (ora a riversa contro il terreno) erano morte o moribonde…

…mentre nell’incavo che prima era a contatto col substrato (e che ora era esposto alla luce) era in via di formazione un fitto strato di piccole nuove squamule.

Le Cladonie se la cavano sempre!


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