I licheni della Majella e il cambiamento climatico

In questo momento storico, in cui è ormai assodata la drammatica attualità del cambiamento climatico ed è sempre più urgente ottenere delle stime precise sugli impatti che questo fenomeno avrà sul pianeta, sono fondamentali ricerche che mirino a comprenderne gli effetti e le ripercussioni a breve e lungo termine sulla biodiversità. Solamente la comprensione di questi meccanismi può metterci in condizione di contrastarne gli effetti negativi, o per lo meno di provarci, tramite opportune azioni di mitigazione.

Ma come si studiano gli effetti del cambiamento climatico? Ci sono svariate possibilità.
Una di esse, privilegiata quando si intende lavorare a livello di biocenosi, è ricorrere a quella che viene definita la “space-for-time substitution“, cioè sostituire il tempo con lo spazio: spostandosi di una quota (o di una latitudine) corrispondente ad una determinata variazione di temperatura, si simula la variazione di temperatura che si prevede avverrà con il tempo in un posto fisso.
In genere, per fare questo relativamente alla quota vengono impostati dei transetti altitudinali che consentano di effettuare su vasta scala una simulazione di questo tipo. Registrando dati ad intervalli di quota fissi lungo un gradiente altitudinale rappresentativo si può ottenere un’informazione che, opportunamente interpretata, può consentire di fare delle previsioni sugli effetti delle modificazioni ambientali comprese nel gradiente considerato.
Nel caso del riscaldamento globale, la space-for-time substitution si basa sul principio di considerare che una situazione oggi riscontrata ad una quota più bassa (dove quindi la temperatura è maggiore) corrisponde alla situazione che in un futuro non troppo lontano si potrà riscontrare ad una quota più elevata proprio per l’effetto del generalizzato aumento delle temperature dovuto al cambiamento climatico in atto. Questa è comunque una semplificazione, dal momento che, benché l’aumento di temperatura sia l’effetto più palese ed immediato a cui pensare, non è l’unico: anche le precipitazioni risentiranno dei cambiamenti climatici, e vanno parimenti considerate, specialmente quando si studiano organismi strettamente dipendenti dalla disponibilità di acqua quali sono i “vegetali” in senso latissimo – includendo quindi anche le cosiddette “crittogame”.

Un’altra considerazione molto importante, da tenere sempre a mente specialmente quando si lavora sull’intera biocenosi, riguarda il fatto che non tutti gli organismi reagiscono nello stesso modo a una medesima modificazione ambientale.
Sono sempre di più gli studi che non si concentrano su un unico gruppo di organismi, ma tentano invece di indagare in contemporanea gli effetti delle stesse condizioni ambientali su più gruppi anche molto diversificati tra di loro, in quello che viene definito “multitaxon assessment” [1].
Ciò è molto utile in quanto da organismi molto diversi è ragionevole attendersi reazioni diverse di fronte ad una medesima situazione. Comprendere in che modo e in quale misura queste reazioni sono diversificate è di fondamentale importanza non solamente per soddisfare quella curiosità scientifica che guida dalla base i nostri sforzi di comprendere il funzionamento delle dinamiche naturali, ma certamente anche per pianificare interventi finalizzati alla conservazione della biodiversità.

Ambiente d’alta quota sul Massiccio della Majella;
per gentile concessione di Chiara Vallese & Chiara Lelli.

Fatta questa premessa, usciamo dalla Lombardia – ma solo in senso figurato, perché qua stiamo ancora in Zona Rossa – e ci spostiamo fino all’Italia centrale, su un massiccio montuoso naturalisticamente eccezionale.
Si tratta del massiccio della Majella, un laboratorio di ricerca a cielo aperto estremamente interessante: è infatti un gruppo montuoso che raggiunge altitudini rilevanti – arriva a 2793 m sulla vetta del Monte Amaro – e si trova in buona parte nelle fasce altitudinali subalpina ed alpina, inserito però all’interno di un contesto marcatamente più meridionale rispetto alle Alpi; una sorta di “isola” d’alta quota circondata da un clima mediterraneo. A causa di una tale collocazione, ci si può aspettare che il massiccio della Majella risenta in modo più massivo e repentino del riscaldamento delle temperature e delle relative conseguenze rispetto ad altri massicci montuosi inseriti in contesti più settentrionali e distanti dall’influenza climatica del Mediterraneo.
Una interessante ricerca appena pubblicata su Scientific Reports (Di Nuzzo et al. 2021) ha giustappunto avuto come oggetto lo studio dei potenziali effetti del cambiamento climatico sui tre principali taxa che caratterizzano la vegetazione d’alta quota – piante vascolari, briofite, licheni – utilizzando dati raccolti lungo un gradiente altitudinale sul massiccio della Majella. Il campionamento è stato effettuato in 154 punti posizionati in 10 fasce altitudinali su un lunghissimo transetto che ha percorso tutto il crinale principale della Majella dal Blockhaus fino al Guado di Coccia.

Il “transettone Majella”;
per gentile concessione di Chiara Vallese & Chiara Lelli.

Le analisi sull’abbondante messe di dati raccolti lungo il “transettone” hanno preso in considerazione non solamente la ricchezza specifica dei tre taxa, ma anche la β-diversità (beta-diversità), i tratti funzionali (se non ricordate cosa sono, potete ripassarlo qui) e le “affinità per le temperature” – cioè le specie di ciascun taxon sono state smistate nelle tre categorie ‘criofile’ (amanti del freddo), ‘termofile’ (amanti del caldo) o ‘indifferenti’, a seconda di quanto noto per esse in base alla letteratura. Questi parametri sono stati messi in relazione con diverse variabili climatiche relative alle temperature e alle precipitazioni, per studiarne le possibili reazioni appunto al cambiamento climatico.
Un primo risultato estrapolato da queste correlazioni è che il clima influenza in modo molto diverso i differenti taxa considerati già a livello di ricchezza specifica, confermando ancora una volta la fondamentalità del multitaxon assessment. In particolare, i licheni presentavano una maggiore ricchezza specifica a basse temperature ed elevate precipitazioni. È interessante notare che, suddividendo i licheni nelle tre categorie di affinità con le temperature, se, come previsto, le specie criofile erano effettivamente più abbondanti in corrispondenza delle temperature minori, le specie termofile e quelle indifferenti non mostravano invece correlazioni significative con le temperature; inoltre, tutte tre le categorie risultavano favorite dai valori maggiori di precipitazioni. Differenti le correlazioni mostrate da briofite e piante vascolari.
L’analisi della β-diversità ha rivelato che le comunità di licheni e muschi sono più ricche a quote più elevate a causa di un aumento del numero di specie – cioè le specie che si trovano alle basse quote si trovano anche alle quote elevate, dove però ne sono presenti in più anche altre che non scendono in basso. Diverso è il meccanismo che modella le comunità di piante vascolari, che invece vengono rimpiazzate salendo di quota – cioè le specie che si trovano alle quote più basse scompaiono salendo di quota, e viceversa per quelle che si trovano alle quote maggiori.
Interessanti anche le correlazioni con i tratti funzionali. Considerando sempre i licheni, la riproduzione sessuale sembra essere privilegiata in situazioni più fredde e con una più marcata stagionalità delle temperature. Riguardo alle forme di crescita, le specie fruticose sembrano trovarsi meglio in siti con le maggiori temperature e precipitazioni, quelle foliose in siti con le temperature minori e una bassa stagionalità delle precipitazioni, quelle crostose nei siti più aridi. Anche in questo caso i tratti funzionali degli altri taxa hanno mostrato correlazioni differenti rispetto a quelli dei licheni.

Campionamento in Majella;
per gentile concessione di Chiara Vallese & Chiara Lelli.

Come si è detto, le reazioni ai parametri climatici utilizzati nell’analisi sono risultate molto diversificate tra i tre taxa. Nel complesso, la natura peciloidrica [2] di licheni e briofite li rende più vulnerabili al cambiamento climatico rispetto alle piante vascolari, che sono invece omeoidriche [2]. Ma le reazioni sono comunque differenziate anche tra licheni e briofite – ricordiamo infatti che, per quanto nel parlato comune “muschi e licheni” vadano spesso a braccetto, si tratta di fatto di organismi diversissimi biologicamente ed evolutivamente.
L’aumento delle temperature e la diminuzione delle precipitazioni previste (anzi, già in corso!) in uno scenario di global change saranno entrambe estremamente negative specialmente per i licheni nel contesto delle montagne mediterranee, ma anche le modificazioni nella stagionalità delle precipitazioni – si prevede infatti che le precipitazioni si concentreranno maggiormente in determinati periodi dell’anno, ancora più rispetto ad ora – scombineranno le carte in tavola per questi organismi, impattandoli in modo massiccio. Continuando con questa tendenza, le comunità si altereranno seguendo la perdita dei tratti funzionali sfavoriti, e rimarranno solamente le specie più tenaci, che posseggono tratti più favorevoli per sopravvivere nella nuova situazione. La ripartizione della β-diversità inoltre indica chiaramente che man mano che le temperature risaliranno lungo il gradiente, le comunità licheniche si impoveriranno: rimarranno le specie che già ora hanno un’ampia distribuzione altitudinale, ma spariranno quelle esclusive delle quote maggiori. L’impatto sarà rilevante anche per le piante vascolari: le specie di bassa quota saliranno, e altrettanto faranno quelle che già ora si trovano in alta quota…con il non trascurabile problema che a un certo punto queste ultime arriveranno in cima e, non avendo possibilità di salire ulteriormente, finiranno con lo scomparire irrimediabilmente.
Considerando la grande diversità di organismi e la differenziazione delle loro risposte a uno stress esteso e complesso come il cambiamento climatico, riuscire a capirci qualcosa è, per usare un’espressione colorita, dannatamente complicato. Studi come questo aiutano ad orientarsi, ma purtroppo non finisce lì, perché dopo averci capito qualcosa (ammesso che ci si riesca), ciò che è ancora più complicato è ragionarci sopra fino a pianificare strategie di mitigazione efficaci e che mettano d’accordo le esigenze di tutti i taxa coinvolti. Abbiamo ancora tantissima strada da fare, ed è più lunga ed impervia perfino di un transettone che attraversa tutta la Majella.


Note

[1] “Taxon” (pl. “taxa”) è un termine che indica una generica categoria tassonomica, e torna quindi molto utile da usare quando si parla di gruppi di organismi molto diversi, e che magari non appartengono nemmeno ad uno stesso rango tassonomico. “Multitaxon/multitaxa” significa quindi che la ricerca ha interessato più taxa diversi.

[2] Sono detti peciloidrici quegli organismi ‘vegetali in senso latissimo’ che reagiscono alla mancanza temporanea di acqua seccandosi e reidratandosi quando torna disponibile acqua nell’ambiente circostante, mentre i vegetali che riescono invece a mantenere un tenore di acqua costante all’interno dei loro tessuti, anche in periodi di aridità, sono detti omeoidrici.


Riferimenti bibliografici

Di Nuzzo L.*, Vallese C.*, Benesperi R., Giordani P., Chiarucci A., Di Cecco V., Di Martino L., Di Musciano M., Gheza G., Lelli C., Spitale D., Nascimbene J. 2021. Contrasting multitaxon responses to climate change in Mediterranean mountains. Scientific Reports 11: 4438.


Le due “fulgide speranze della lichenologia” (cit.) a capo dello studio.

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