I licheni della Valle del Ticino – 1: panoramica storica

Nel 2002 la Valle del Ticino è stata dichiarata Riserva della Biosfera MAB UNESCO, grazie all’enorme importanza che riveste per la conservazione della biodiversità. Si tratta infatti di un’area vitale per la salvaguardia degli habitat naturali e delle specie che vi si trovano, all’interno della Pianura Padana centro-occidentale, che è una delle aree geografiche più impattate dall’attività umana in Italia, nonché una delle più antropizzate ed inquinate a livello europeo. Proprio a causa della sua collocazione geografica la Valle del Ticino si rivela quindi così importante, sia come serbatoio di biodiversità, sia come corridoio ecologico.
Questa lunga valle fluviale, estesa per 110 km, segue il corso del Ticino dalla sua uscita dal Lago Maggiore (199 m s.l.m.) fino alla confluenza con il Po a sud di Pavia (57 m s.l.m.), attraversando le province di Varese, Milano, Pavia (Lombardia) e Novara (Piemonte), ed è tutelata da due Parchi Naturali Regionali: il Parco Lombardo della Valle del Ticino (91410 ettari) e il Parco della Valle del Ticino Piemontese (6561 ettari). Il Parco lombardo, istituito nel 1974, è il più vecchio Parco Naturale Regionale italiano, nonché il più vecchio parco fluviale d’Europa, ed include 9 Siti Natura 2000. Il Parco piemontese, istituito nel 1978, è invece un Sito Natura 2000 in tutta la sua interezza.

Va da sè che quest’area riveste un’enorme importanza anche per il biota lichenico.
La Pianura Padana è – a ragione – considerata un’area molto povera di biodiversità lichenica (Nimis 1993), a causa per l’appunto dell’elevata antropizzazione e del pesantissimo impatto delle attività umane sugli habitat naturali: non solamente per l’inquinamento generato dall’uomo, ma anche (e, forse, soprattutto) per la perdita di habitat naturali direttamente causata dall’uomo. Per quanto in genere non venga spontaneo pensarlo, e spesso si accusino della scomparsa delle specie quasi esclusivamente attività come l’inquinamento, la caccia e la pesca, è invece proprio la perdita di habitat la prima causa di estinzione delle specie viventi – a livello globale!

Le ricerche lichenologiche nella Valle del Ticino sono state per lo più frammentarie e molto sparse nel tempo, ma nel complesso consentono oggi di ottenere una buona panoramica sull’evoluzione delle conoscenze, e perfino di fare una stima almeno parziale di ciò che è andato perduto nell’ultimo secolo, grazie alla presenza di diversi dati storici (Gheza et al. 2019c).
Tra l’Ottocento e la metà del Novecento, diversi botanici si interessarono saltuariamente di licheni nell’area. Nell’Ottocento, alcuni di loro inclusero i licheni in flore prevalentemente vascolari, come quella di Biroli (1808), relativa alla flora del novarese, e quella di Nocca & Balbis (1823), riferita al territorio pavese. In entrambe sono annotate specie licheniche rinvenute nei pressi del Ticino.

Biroli (1808) riportò diverse specie interessanti – la maggior parte delle quali oggi scomparse – dagli “ericetis Ticinii“, cioè dalle “brughiere del Ticino”. Gli habitat aridi si distinguevano quindi per la presenza di licheni terricoli interessanti già due secoli fa!

Quasi un secolo dopo, agli inizi del Novecento, Cozzi (1916), un sacerdote interessato alla botanica, si occupò sistematicamente di licheni, elencando le specie da lui osservate sulle querce – che erroneamente presentava come parassite degli alberi. Sempre Cozzi (1917) elencò una sessantina di specie – epifite, sassicole, terricole – da lui raccolte nei boschi e nelle brughiere del gallaratese, da cui qualche decennio più tardi Giacomini (1958) menzionò alcuni licheni terricoli in rilievi fitosociologici effettuati nella Brughiera di Gallarate durante l’escursione di un convegno internazionale di fitosociologia in cui anche altri partecipanti segnalarono, oltre alle specie e alle comunità vegetali, qualche lichene (Ochsner 1958).

Il bosco nativo più diffuso nella Valle del Ticino è dominato da quercia (farnia e, più raramente, rovere) e carpino bianco (Querco-Carpineto), a cui si aggiungono talvolta olmo e ontano nero dove il suolo è più umido, oppure, nell’alta valle, pino silvestre.

Per assistere ad un interesse focalizzato specificamente sui licheni si dovette però attendere gli anni Novanta del Novecento, quando vennero effettuati due studi di biomonitoraggio tramite licheni epifiti, rispettivamente nel 1994 (Casarini et al. 1995) e nel 1999 (Furlanetto et al. 2000), sull’intero territorio del Parco lombardo. In parte a questi si sovrappose anche il lavoro di Zocchi et al. (1997), che interessava un’area più ampia ancora. Era un periodo in cui l’interesse per questo tipo di biomonitoraggio era allo zenit e veniva ampiamente promosso dalla giovane e già dinamicissima Società Lichenologica Italiana. Per di più, il Parco del Ticino Lombardo include al suo interno la città di Pavia, la cui università era tradizionalmente una sede lichenologica che all’epoca onorava questa tradizione con l’attività della professoressa Valcuvia Passadore. Era quindi quasi ‘automatico’ pensare di realizzare almeno un progetto di biomonitoraggio nella Valle del Ticino.
Una prima lista di 46 licheni epifiti confermati grazie a quelle indagini (Roella 1999) andò ad inserirsi nel primo Atlante della Biodiversità del Parco Ticino, ma quelle poche decine di specie non potevano certo fornire una panoramica esaustiva sulla complessiva e complessa biodiversità lichenica presente in un territorio così vasto, variegato e, in certe aree, ancora ben conservato.
Ecco quindi che alle conoscenze pregresse si sommarono abbondanti nuovi dati appositamente raccolti in campo, che confluirono nella seconda edizione dell’Atlante della Biodiversità del Parco Ticino (Valcuvia Passadore et al. 2002a, b), in cui erano elencate 129 specie licheniche, già un numero considerevole per un’area situata in pieno territorio padano.

Dopo quel momento di gloria, per diverse ragioni, la ricerca lichenologica nel Parco subì un arresto per circa un decennio, con l’unica eccezione di un piccolo lavoro sui licheni sassicoli rinvenuti sui manufatti presenti nell’Orto Botanico di Pavia (Rigamonti et al. 2007), geograficamente compreso all’interno della valle fluviale e del Parco lombardo.

Uno degli habitat più rari presenti all’interno del Parco del Ticino è la brughiera.

Nell’ultimo decennio invece la ricerca lichenologica nella Valle del Ticino è ripresa, ma non ha più riguardato il biomonitoraggio, bensì si è focalizzata sulle comunità terricole presenti negli ambienti aridi, in particolare praterie aride e brughiere a Calluna vulgaris (Gheza 2015, 2018; Gheza et al. 2016, 2018, 2019a; Ravera et al. 2016, 2017a, b). Negli ultimissimi anni, le ricerche lichenologiche si sono estese infine alle comunità epifite dei boschi dominati da farnia, carpino e olmo nel settore più meridionale della valle fluviale (Gheza et al. 2019b). Può sembrare sorprendente, ma i licheni epifiti presenti nei boschi erano rimasti fino a questo momento quasi completamente ignorati, dal momento che i metodi con cui venivano e vengono effettuate le indagini di biomonitoraggio prevedono l’indagine di alberi situati in ambienti aperti, agricoli o urbanizzati, e non in ambienti boschivi.
Queste nuove indagini hanno ulteriormente incrementato le conoscenze relative alla Valle del Ticino, aggiungendo nuove specie alla checklist, o ampliando la distribuzione di specie rare precedentemente segnalate solamente in pochi siti.
Attualmente, per la Valle del Ticino e il territorio immediatamente circostante (viene considerata nel conteggio anche quella fascia di pianura esterna alla valle fluviale propriamente detta, ma inclusa comunque nel territorio del Parco lombardo), sono segnalate, considerando tutte le fonti comprensive anche delle specie non più confermate dopo la metà del Novecento, 180 specie (Gheza et al. 2019c). Ma i giochi sono ben lungi dal potersi considerare conclusi…

(continua)

Il Ticino in piena visto dal Ponte di Barche di Bereguardo (Pavia), nella bassa valle, in due tipiche giornate invernali: con la nebbia e con il cielo limpido.


Riferimenti bibliografici

  • Biroli G. 1808. Flora Aconiensis, seu plantarum in novariensi provincia sponte nascentium descriptio. Typographia Viglevanensi, Vigevano.
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