I licheni delle chiome…si cercano per terra (anche)

Tutus in silvis (“sicuro nelle foreste”) è il motto della Val di Scalve, quella selvaggia e magnifica fenditura nell’angolo nordorientale della provincia bergamasca che è effettivamente ricoperta da magnifiche foreste, le quali hanno per millenni fornito sostentamento e protezione ai suoi abitanti.
Anche i licheni epifiti possono dirsi al sicuro nelle foreste ben conservate, e quelle che si trovano nelle fasce montana e subalpina delle Alpi sono spesso effettivamente ricche di biodiversità lichenica. Sempre a patto che siano ben conservate, si capisce.

Esemplare fertile di Hypotrachyna revoluta.

Per decenni, lo studio dei licheni epifiti si è limitato a quanto era indagabile sul tronco fino al massimo a 2 metri di altezza dal suolo. Questo andava bene nell’ottica di condurre studi scientifici secondo criteri standardizzati e non troppo proibitivi da tradurre nell’atto pratico, ma certamente aveva l’enorme limite di sottostimare la diversità lichenica effettivamente presente. Pensate agli alberi giganteschi di una foresta vetusta: i primi due metri di tronco sono una parte minuscola della superficie complessiva che l’albero mette a disposizione della colonizzazione lichenica! Inoltre bisogna considerare che le condizioni di microhabitat variano moltissimo tra la parte bassa del tronco e i rami più alti della chioma, e con tutta una serie di posizioni e condizioni intermedie tra questi due estremi.
Fortunatamente, negli ultimi 10-15 anni questo problema ha cominciato ad attirare l’interesse e gli sforzi di sempre più lichenologi (e briologi), che hanno così dimostrato che i rami delle chiome possono ospitare un consistente numero di specie licheniche – tra le quali numerose di interesse conservazionistico – che non sono presenti sui tronchi. Campionando anche i rami si può senza dubbio ottenere un’informazione più completa sulle specie presenti: Marmor et al. (2013) hanno osservato che su conifere nella foresta boreale ben due terzi delle specie totali erano presenti solamente sui rami e assenti dai famigerati primi 2 metri del tronco. Risultati simili sono stati riportati da Fritz (2009) su faggio in faggete dell’Europa centrale e da Kiebacher et al. (2016) su acero di monte in pascoli alberati delle Alpi centrali. Queste ricerche hanno anche evidenziato che non campionare i rami della chioma può portare a sottostimare non solamente la biodiversità lichenica generale, ma anche la ricchezza di specie dall’elevato valore conservazionistico. In generale, comunque, la percentuale media di specie presenti solo nella chioma e assenti dal tronco può variare a seconda del clima dell’area di studio, del tipo di bosco e della specie di forofita che vengono considerati (Boch et al. 2013). Ciò è senz’altro concorde con il fatto che, come era già stato ampiamente attestato anche dai campionamenti limitati ai tronchi, ricchezza e composizione specifica nelle comunità di licheni epifiti variano da un tipo di foresta all’altro (e.g. Nascimbene 2014).

Ad ogni modo, queste osservazioni dimostratesi più complete evidenziano più che mai la necessità di tarare i protocolli di campionamento standardizzati in modo da riuscire ad estendere le future ricerche anche alle chiome, perché solo indagando completamente un albero si può pensare di avvicinarsi al reale numero di specie presenti (avvicinarcisi, perché pensare di trovarle proprio tutte tutte è un po’ troppo ottimistico).
Naturalmente ciò non è semplice: i lichenologi che volessero cimentarsi in questa entusiasmante sfida necessitano di buone abilità di arrampicata, e di una corporatura atta allo scopo…il che pone il sottoscritto già fuori dai giochi.

Bosco misto di abete bianco e rosso in Val di Scalve.

Tra le moltissime specie epifite presenti in Italia, ve ne sono alcune che preferiscono per l’appunto i ‘piani alti’ degli alberi. Tra queste, il leggendario Parmotrema arnoldii, una specie rarissima che necessita di un’elevata qualità ambientale e di una forte umidità atmosferica (Nimis 2016), e si ritrova pertanto solamente in boschi ben conservati e molto umidi.
Fino a due anni fa, questa specie non era mai stata trovata in Lombardia, ed era stata rinvenuta in Italia solamente nelle Alpi orientali (Nimis et al. 2018).

I sontuosi lobi di Parmotrema arnoldii, molto ampi e con evidenti ciglia marginali.

Esattamente due anni fa con oggi, stavo facendo una passeggiata in un bellissimo – e umido! – bosco di abete bianco in Val di Scalve, dove avevo iniziato una serie di escursioni lichenologiche come prima tappa di un progetto di ricerca floristica a lungo termine sui licheni della bergamasca.
La primavera può regalare sorprese licheniche a chi sa scrutare con attenzione il sottobosco in montagna: infatti, dopo che le nevicate dell’inverno e le piogge primaverili hanno spazzato e martoriato le chiome, capita spesso di trovare sul terreno qualche rametto precipitato dall’alto colonizzato proprio da quelle specie che scendono malvolentieri lungo i tronchi ma prosperano sui rami alti delle chiome. Ed eccomi quindi letteralmente inciampare in un rametto di paghér completamente avvolto da un Parmotrema ‘strano’ – non che fosse veramente strano, semplicemente non l’avevo mai visto prima. Opportunamente analizzato in laboratorio, si rivelò essere proprio il mitico Parmotrema arnoldii.
Razzolandoci con attenzione, il sottobosco si rivelò prodigo di campioni, regalandomi anche un’altra specie molto interessante, Parmelia submontana. Anch’essa mai segnalata in Lombardia in precedenza!

Parmelia submontana; non si tratta in generale di una specie esclusiva delle chiome, ma in Val di Scalve l’ho effettivamente trovata solamente su rametti caduti a terra dall’alto.

L’altra occasione – un po’ più ‘triste’ – di procurarsi campioni di licheni delle chiome senza dover necessariamente padroneggiare il tree-climbing è quella di sfruttare gli alberi abbattuti. In genere la gestione forestale non va tanto per il sottile: gli alberi da abbattere si abbattono, con buona pace dei licheni che li avevano eletti a propria dimora; e può benissimo capitare che tra questi ce ne siano di interessanti.
La ricognizione di abeti appena abbattuti, sempre in Val di Scalve, mi ha regalato un interessante campione fertile di Hypotrachyna revoluta (che di solito si trova sterile) e delle Parmelie tuttora innominate ma sicuramente meritevoli di approfondimenti (v. Gheza 2019).
Ricordo anche, per fare un esempio, cataste di tronchi completamente ricoperti da talli enormi (per la media a cui ero abituato) di Usnea, Evernia divaricata e Platismatia glauca nella foresta di Paneveggio, in Trentino; e ricordo che pensai “che spreco!”.

Pezzi di tronchi pronti per essere portati via…ma non ancora ‘ripuliti’ dai licheni, compito che potrebbe essere svolto da un volonteroso lichenologo casualmente di passaggio.

La cosa buona è che questa abitudine di raccogliere campioni da rami caduti e tronchi abbattuti è avulsa da qualsiasi problema etico (ebbenesì, mi faccio anche di queste paturnie): un lichene caduto nella lettiera è destinato a fare la fine delle foglie morte, diventando lettiera a sua volta, se non cibo per qualche invertebrato affamato. Pertanto, se è giustissimo farsi degli scrupoli nella raccolta di una specie rara situata ancora sul suo substrato originario, è anche giusto pensare che non è un danno se la specie rara viene prelevata da un ramo caduto a terra: tra decomporsi inevitabilmente e diventare un importante voucher specimen in un erbario, dal punto di vista scientifico la seconda opzione è certamente migliore.
C’è anche una terza opzione, che alcuni lichenologi italiani hanno saputo cogliere e sfruttare in modo geniale: il materiale prelevato da alberi appena abbattuti o che stanno per esserlo, se sufficientemente abbondante e ancora vitale, può essere utilizzato per sperimentare (re)introduzioni e per studiarne l’efficacia; è ciò che è stato fatto di recente con Lobaria pulmonaria dal GdL Ecologia della Società Lichenologica Italiana (Paoli et al. 2016, 2018a, 2018b).


Riferimenti bibliografici

  • Boch S., Müller J., Prati D., Blaser F., Fischer M. 2013. Up in the tree – the overlooked richness of bryophytes and lichens in tree crowns. PLoS One 8 (12): e84913.
  • Fritz O. 2009. Vertical distribution of epiphytic bryophytes and lichens emphasizes the importance of old beeches in conservation. Biodiversity and Conservation 18: 289-304.
  • Gheza G. 2019. The macrolichens of Val di Scalve (northern Italy) and the first record of Parmelia pinnatifida in Italy. Webbia 74 (2): 307-315.
  • Kiebacher T., Keller C., Scheidegger C., Bergamini A. 2016. Hidden crown jewels: the role of tree crowns for bryophyte and lichen species richness in sycamore maple wooded pastures. Biodiversity and Conservation 25: 1605-1624.
  • Marmor L., Torra T., Saag L., Leppik E., Randlane T. 2013. Lichens on Picea abies and Pinus sylvestris – from tree bottom to the top. The Lichenologist 45 (1): 51-63.
  • Nascimbene J., Nimis P.L., Dainese M. 2014. Epiphytic lichen conservation in the Italian Alps: the role of forest type. Fungal Ecology 11: 164-172.
  • Nimis P.L. 2016. The Lichens of Italy. A second annotated catalogue. EUT. Trieste. 740 pp.
  • Nimis P.L., Hafellner J., Roux C., Clerc P., Mayrhofer H., Martellos S., Bilovitz P.O. 2018. The lichens of the Alps – an annotated checklist. MycoKeys 31: 1-634.
  • Paoli L., Guttova A., Anselmi B., Benesperi R., Contardo T., Fackovcova Z., Landi M., Landi S., Loppi S., Nascimbene J., Ravera S., Vannini A. 2016. In Italia Lobaria pulmonaria non è una specie protetta (e si vede!). Notiziario della Società Lichenologica Italiana 29: 47.
  • Paoli L., Fackovcova Z., Lackovicova A., Benesperi R., Bianchi E., Di Nuzzo L., Nascimbene J., Ravera S., Sorbo S., Landi M., Landi S., Vannini A., Basile A., Loppi S., Guttova A. 2018a. Impact of logging on the endangered forest lichen Lobaria pulmonaria: issues for conservation. Notiziario della Società Lichenologica Italiana 31: 14.
  • Paoli L., Benesperi R., Bianchi E., Brunialti G., Di Nuzzo L., Fackovcova Z., Frati L., Giordani P., Maccelli C., Ravera S., Zedda L. 2018b. Impact of forest management on threatened macrolichens. Incontro del Gruppo di Lavoro per l’Ecologia della SLI. Notiziario della Società Lichenologica Italiana 31: 61-62.

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