Quanto poco sappiamo sulle Leprarie lombarde

Le Leprarie sono delle croste pulverulente decisamente poco attraenti, che possono crescere un po’ dappertutto, vuoi sulla scorza degli alberi, vuoi sul terriccio muschioso umido, vuoi sulla roccia, e perfino negli interstizi umidicci dei muretti di cemento.

Non solo: oltre a non essere particolarmente di bell’aspetto, sono pure dannatamente difficili da identificare a livello specifico, dal momento che si somigliano tutte e i caratteri morfologici per distinguere una specie dall’altra spesso non bastano [1]; per converso, la variabilità chimica è altissima, tanto che una stessa specie può esistere con svariati chemotipi (Baruffo et al. 2006; Saag et al. 2009). Dalla morfologia estremamente uniforme [1] si discosta visibilmente (ma solo a volte) solamente Lepraria membranacea, il cui tallo ben delimitato e colore giallino stinto la rendono immediatamente distiguibile dalle più indistinte e grigio-azzurrognole congeneri.

È chiaro che questo aspetto poco accattivante e questa uniformità morfologica non sono sufficienti a liquidarle come organismi poco interessanti da studiare, anzi, tutto il contrario: proprio per il fatto che sembrano tutte la stessa cosa, le sorprese con loro sono sempre (o quasi) dietro l’angolo.

Lepraria membranacea

Nella revisione del genere Lepraria in Italia (Baruffo et al. 2006), la Lombardia è decisamente sottorappresentata, con solamente pochi campioni lombardi esaminati nel complesso. Anche i lavori più datati – quelli di Anzi e Garovaglio in primis – sono molto poveri di segnalazioni di Leprarie, dato che all’epoca dei grandi studi floristici sui licheni lombardi le tecniche chimiche che consentono di analizzare dettagliatamente i metaboliti secondari non erano ancora state sviluppate.

Al netto dell’ultima checklist di Nimis (2016), la Lombardia contava 8 specie di Lepraria sulle 20 segnalate complessivamente per l’Italia; un po’ pochine, per una regione così ricca.

Anche io ho sempre trascurato le Leprarie, non avendo modo di sfruttare le tecniche chimiche necessarie per identificarle. Ho cominciato a raccoglierle solamente da pochi anni, da quando ho la possibilità di controllare campioni tramite TLC collaborando con l’Università di Graz. E subito sono cominciate le sorprese: infatti, tra meno di una ventina di campioni raccolti – lo ammetto – abbastanza a casaccio e semplicemente in punti a bordo sentiero in una manciata di località della Val di Scalve (BG) e della bassa Val Camonica (BS), sono saltate fuori ben 4 specie mai segnalate prima in Lombardia (v. Ravera et al. 2018, 2019) e altre 2 che erano state segnalate rarissimamente in precedenza. Mi par sufficiente a dimostrare che il vero problema è più verosimilmente la scarsa indagine/conoscenza, piuttosto che una reale rarità delle specie; che poi magari si potrà anche dimostrare per alcune specie, ma prima di tutto serve implementare le conoscenze di base per comprendere meglio come stanno le cose.

A conti fatti, la Lombardia conta ora 12 specie di Lepraria (v. Appendice). Vedremo se in futuro il numero incrementerà ulteriormente.

A riprova del fatto che le Leprarie sono talvolta neglette anche da parte di coloro che dovrebbero considerarle…al momento di radunare le foto per questo post, mi sono accorto di non avere fatto neanche una foto a nessuna delle quattro specie che ho trovato per la prima volta in Lombardia! Tranne a questa…che però non ho annotato quale sia…

Peraltro, anche l’attribuzione quasi ‘cieca’ a Lepraria incana di quasi ogni Lepraria epifita rinvenuta in pianura negli studi di biomonitoraggio degli anni Novanta (e anche successivamente) andrebbe considerata molto criticamente e, per quanto possibile, revisionata con un’accurata analisi chimica dei campioni disponibili, o con un ricampionamento delle vecchie località. Da dati preliminari si potrebbe già supporre che quasi tutte (o proprio tutte) le “Lepraria incana” segnalate nella pianura lombarda siano in realtà Lepraria finkii, la cui presenza diffusa è già stata accertata nei querceti della valle del Ticino…in totale assenza della vera Lepraria incana! Si tratta di un aspetto che andrebbe chiarito una volta per tutte.

Lepraria finkii su farnia nella Valle del Ticino


Note

[1] In realtà, tramite osservazioni attente ed approfondite in laboratorio, si può appurare che anche la morfologia è d’aiuto nell’identificazione (v. Lendemer 2011); tuttavia, affidarsi alla TLC per lo studio dei caratteri chimici è sempre utile e spesso indispensabile (v. Baruffo et al. 2006; Saag et al. 2009).


Riferimenti bibliografici


Appendice

Elenco delle specie di Lepraria riportate finora per la Lombardia (da Nimis 2016, con integrazioni successive da parte di Ravera et al. 2018, 2019).

  1. Lepraria alpina (B. de Lesd.) Tretiach & Baruffo
  2. Lepraria caesioalba (B. de Lesd.) J.R. Laundon
  3. Lepraria crassissima (Hue) Lettau
  4. Lepraria diffusa (J.R. Laundon) Kukwa
  5. Lepraria eburnea J.R. Laundon
  6. Lepraria finkii (B. de Lesd.) R.C. Harris
  7. Lepraria incana (L.) Ach.
  8. Lepraria membranacea (Dicks.) Vain.
  9. Lepraria neglecta (Nyl.) Erichsen
  10. Lepraria nivalis J.R. Laundon
  11. Lepraria rigidula (B. de Lesd.) Tønsberg
  12. Lepraria vouauxii (Hue) R.C. Harris

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